Se alla fine del 1400 ci fosse stato il DDL Zan forse il quadro più celebre del mondo sarebbe un’altro e la figura femminile di Monna Lisa sarebbe solo il ritratto maschile del fidnazato o persino marito di Leonardo Da Vinci, od almeno secondo quanto molti studiosi danno ormai per scontato si celi dietro la figura enigmatica della Gioconda.
Solo pochi anni fa sembrava assurdo che il volto della donna dal sorriso enigmatico più famoso al mondo potesse appartenere in realtà ad un uomo e tutti si erano concentrati sul come e perchè fosse così particolare e differente da tutti gli altri suoi dipinti, mentre secondo uno studio del ricercatore Silvano Vinceti, Lisa Gherardini, individuata come prima modella per il dipinto e detta la Monna Lisa, sarebbe stata solo la prima ispirazione del quadro, di cui porta gran parte del volto e forse inizialmente commissionato dal marito di questa, ma poi ritoccata con la parte inferiore del viso e la bocca con i tratti del volto di colui che nel tempo era diventato il suo assistente più intimo e fidato, Gian Giacomo Caprotti, da lui chiamato Salai, ovvero il diavolo, e che soleva chiamare spesso Mon Salai che anagrammato rsulta, appunto, Mona Lisa.
Mona Lisa sarebbe quindi un uomo ed un uomo davvero speciale: l’amante di Leonardo.
Che Leonardo fosse Gay, od almeno bisex, è ormai accettato da quasi tutti gli studiosi, infatti non è un segreto per nessuno che nel 1476 fu denunciato per “sodomia” ed accutato di aver fatto sesso con un giovane prostituto, poi scampato alla condanna solo perché era già un personaggio molto noto, inoltre non mancano le prove letterarie, tra le quali , una riflessione sull’amore nella quale scrive (distrattamente?) un doppio genere maschile parlando di un amante (maschio) “giunto all’amato“ (altrettanto maschio), e che dire poi dei molti disegni che ci sono arrivati con giovani androgini, tra i quali spicca certamente un coraggioso angelo annunciante ritoccato per aggiungervi una vistosa erezione ed infine, per l’appunto, la sua chiacchierata ed ormai certa relazione con il giovane che sarebbe stato ritratto nel dipinto forse più famoso al mondo, senza contare le ipotesi di altri ragazzi non identificati che avrebbero costellato la sua vita.
Ma alla omosessualità di Leonardo non si è mai voluto credere e non se ne è mai parlato, forse per vergogna di dover identificare in un Gay l’italiano forse più famoso al mondo di tutti i tempi, oggi non si può più trascurare che una confluenza di molte tracce portano quasi certamente ad una prova, e se, come sosteneva Agatha Christie, “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”, ormai di prove che Leonardo fosse Gay e che Gian Giacomo Caprotti fosse il suo amante preferito ce ne sono davvero molte, tra queste la S dipinta nell’occhio sinistro della Gioconda e la L che è possibile trovare in quello destro, come le iniziali dei due amanti, Leonardo/Salai, un po’ come facevano gli innamorati con le iniziali sui tronchi degli alberi ed oggi con i lucchetti sui ponti.
L’ultimo doveroso indizio, ma anche il primo che ha fatto sospettare ci fosse qualcosa di più che un ritratto nella storia del quadro, starebbe nel fatto che Leonardo non si separava mai da questo dipinto, portandolo sempre con sé nei suoi viaggi ed infine fu Leonardo stesso nel 1516, a 67 anni, a portare con sé il dipinto in Francia che sarebbe stato poi acquistato, assieme ad altre opere, da Francesco I.
UN’ALTRA CURIOSITÀ
Convinto erroneamente, come molti italiani, che la Gioconda appartenesse all’Italia poiché sottratto da Napoleone durante il suo regno che comprendeva parte della nostra nazione, nella notte tra domenica 20 e lunedì 21 agosto 1911, prima di un giorno di chiusura del museo, un ex-impiegato del Louvre, Vincenzo Peruggia, originario di Dumenza, un paesino nei pressi di Luino, rubò il quadro staccandolo di prima mattina dopo essersi rinchiuso per la notte in uno sgabuzzino, per poi uscire indisturbato con il ritratto sotto il cappotto.
Tutto ciò era stato possibile perchè lui stesso ne aveva montato la teca in vetro e quindi sapeva bene come smontarla ed essendo familiare con gli ambienti uscì in tutta calma chiedendo persino aiuto ad un idraulico per uscire dal museo, essendo sparita la maniglia del portone d’ingresso, sbagliò persino il tram per rientrare dovendo infine prendere un taxi.
Della sottrazione il personale del muoseo si accorse solo il martedì 22 agosto quando un copista, Louis Béroud, che aveva avuto il permesso per riprodurre l’opera a porte chiuse si recò sul posto per il suo lavoro, la notizia del furto però fu ufficializzata solo il giorno dopo perché all’epoca era frequente che le opere venissero temporaneamente rimosse per essere fotografate e fu necessaria una indagine per stabilre la reale sparizione.
Scomparso senza denstare sospetti tenne il dipinto in una valigia posta sotto il letto della pensione dove soggiornava per ventotto mesi, quando rientrando al suo paese di origine la portò con sé in italia.
Era la prima volta che un dipinto veniva rubato da un museo e per di più dal Louvre e mentre il quodro giaceva indisturbato sotto il letto del Perruggia la polizia brancolava nel più total ebuio arrivando a sospettare il poeta francese Guillaume Apollinaire, che venne persino arrestato dopo aver dichiarato di voler distruggere i capolavori di tutti i musei per far posto all’arte nuova e condotto in prigione nel settembre dello stesso anno e poi rilasciato.
Anche Pablo Picasso venne interrogato in merito e poi rilasciato ed alla fine i sospetti caddero anche sull’Impero tedesco, nemico della Francia, ipotizzando un furto di Stato e mentre la polizia cercava in tutto il mondo, facendo cominciare a pensare che il dipinto fosse perso per sempre, si scoprì anch eche le grandi misure di sicurezza pensate dal museo per la protezione delle opere erano state solamente l’addestramento nello judo un gruppo di guardie, facendo cadere l’amministrazione museale nel ridicolo.
Ma il tanto destro Perruggia non fu da meno, passata l’idea di “regalarlo all’Italia”, da lui confessata quando fu arrestato, nel 1913 si recò ingenuamente a Firenze rivolgendosi all’antiquario Alfredo Geri per rivender el’opera.
L’antiquario ricevette una lettera firmata “Leonardo” in cui era scritto «Il quadro è nelle mie mani, appartiene all’Italia perché Leonardo è italiano» proponendone la restituzione a fronte di un riscatto di 500000 lire «per le spese».
Pur sembrando uno scherzo l’antiquario fissò un appuntamanto per l’11 dicembre 1913 nella stanza 20 al terzo piano dell’Hotel Tripoli, in via de’ Cerretani (che guarda caso si chiama oggi Hotel Gioconda), facendosi accompagnare dall’allora direttore degli Uffizi Giovanni Poggi.
Verificato che il quadro era autentico, o almeno sembrava tale e non uno dei tanti falsi ormai in circolazione, chiesero di poterlo avere per “verificarne l’autenticità”, recandosi invece alla polizia.
Il Peruggia nell’attesa se ne andò a spasso per la città venendo presto rintracciato ed arrestato, il processo si concluse poi dichiarandolo “mentalmente minorato” e condannandolo ad una pena di un anno e quindici giorni di prigione, poi ridotti a sette mesi e quindici giorni.
La sua difesa si basò tutta sul patriottismo finindo per suscitare persino simpatia coniando il termine “peruggismo” e facendo scalpore la sua dichiarazione di aver passato due anni “romantici” con la Gioconda appesa sul suo tavolo di cucina.
Il clima amichevole che c’era nei rapporti tra Italia e Francia favorì la restituzione solo dopo la sua esposizione in tutta Italia, prima agli Uffizi a Firenze, poi all’ambasciata di Francia di palazzo Farnese a Roma, alla Galleria Borghese a Natale, e infine alla Pinacoteca di Brera a Milano.
Al suo ritorno a Parigi vi era il presidente della Repubblica Raymond Poincaré e tutto il governo in pompa magna ad attendere alla sua nuova esposizione nel Salon Carré.
Forse fu proprio questa curiosa vicenda, a tratti rocambolesca e per altri ridicola, a contribuire maggiormente a far diventare la Gioconda il ritratto più celebre della storia nonché di una delle opere d’arte più note in assoluto al mondo.