L’altare d’oro di Ambrogio, Protaso e Gervaso

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Molti conoscono l’altare d’oro che si trova nella basilica oggi dedicata a sant’Ambrogio a Milano, non tutti sanno, però, che in effetti non è solo un altare, si tratta, infatti, di molto di più.

Nella tradizione cattolica milanese vi sono tre santi che ricoprono un posto speciale, sant’Ambrogio, che fu vescovo di Milano per acclamazione popolare avvenuta nel 364 d.C. ed ancora oggi il cattedratico più amato della chiesa locale, ed i giovani martiri san Protaso e san Gervaso, i cui resti furono ritrovati nel 386 dallo stesso Ambrogio davanti ai cancelli dell’antica basilica di Nabore e Felice e fatti trasportare nella chiesa, allora appena costruita, e che per questo chiata con nome di Basilica martyrum, ovvero Basilica dei martiri.

La chiesa, però, era cara tanto ad Ambrogio Vescovo quanto ai fedeli milanesi, al punto che questi, invece del suo vero nome, iniziarono presto a chiamarla Basilica “Ambrosiana” finendo con il convincere lo stesso Ambrogio a sceglierla come luogo anche per la sua sepoltura e dove fu effettivamente tumulato, a sinistra dei santi Protaso e Gervaso, nel 397 alla sua morte.

La Basilica, con queste sepolture, crebbe nei secoli come punto di riferimento e meta di pellegrinaggi, diventando così importante da far commissionare tra l’824 e l’859, da parte dell’arcivescovo di Milano Angilberto II al magister phaber Volvino, uno splendido altare d’oro dove far trasferire le spoglie dei santi.

Nello stesso speriodo ha luogo la prima ricostruzione della chiesa, dove vengono sepolti anche alcuni membri della famiglia di Carlo Magno, chiesa che subisce successive implementazioni e distruzioni, come quella avvenuta a seguito dell’assedio e distruzione di molte parti di Milano causata nel 1162 da Federico I Barbarossa, per poi essere ricortruita definitivamente e come è giunta a noi in periodo medievale.

Ma se la storia della chiesa e delle sue reliquie, inclusa una scheggia della croce di Cristo, è davvero interessante è certamente l’altare maggiore tutto d’oro di quella che diventerà poi solamente la “Basilica di Sant’ambrogio“, ad essere nei secoli l’elemento più “sensibile” del complesso e scampato a molte distruzioni, inclusa quella della seconda guerra mondiale, avvenuta nel 1943, quando l’abside e la canonica furono rase al suolo dalle bombe alleate senza sfiorare il cimelio che era stato accortamente trasferito in un luogo segreto.

Oggi l’arca-reliquiario-altare è visibile al pubblico al suo posto, protetto da lastre di vetro antiproiettile attraverso le quali la sua bellezza non sfigura per nulla e solo l’idea che l’uso del metallo prezioso per un cimelio di questo tipo può eventualmente sfiorare i pensieri dei visitatori che immaginano quante altre cose si potrebbero fare con quelle ricchezze, ma proprio l’arcivescovo di Milano Angilberto II che ha commissionato l’opera rispose per primo alla domanda facendo incidere sul retro del manufatto che esso contiene «un tesoro più prezioso di ogni metallo», riferito a quello che per la Chiesa milanese erano e sono ancora i corpi dei santi Ambrogio, Protaso e Gervaso.

L’altare in sè è costituito da una cassa realizzata in legno e rivestita da pannelli d’oro lavorati a sbalzo ed impreziositi con placche di smalto cloisonné (una tecnica di decorazione artistica a smalto, nella quale dei sottili fili o listelli o piccoli tramezzi metallici, celle o alveoli, detti in francese cloisons, vengono saldati o incollati ad una lastra di supporto dell’opera da costruire), gemme, perle e coralli, che raffigurano frontalmente alcune scene della Vita di Cristo, in oro, e della Vita di Ambrogio, in argento dorato, sul lato rivolto l’abside, mentre sui fianchi sono rappresentati i santi Gervaso e Protaso, l’adorazione della Croce e il legame con Martino di Tours, protettore dell’impero carolingio.

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L’opera, che esalta nelle raffigurazioni la gloria di Ambrogio e la dignità della Chiesa milanese, è così molto più di un semplice altare o sepoltura, ma diventa una sorta di simbolica “arca dell’alleanza” che celebra in essa anche la vanità del misterioso magister phaber Vuolvino, che impose alle due ignote maestranze di altissimo livello tecnico, da lui dirette per realizzarla, di raffigurarlo su di essa mentre riceve una corona regale dallo stesso Ambrogio, al pari dell’arcivescovo Angilberto raffigurato nei medaglioni centrali che decorano gli sportelli di accesso al sarcofago dei santi.

Se fino a ieri passavate di fronte all’altare potendovi meravigliare solo dell’oro con cui è realizzato, adesso potrete realizzare anche una vostra esegesi delle iscrizioni senza timore di perdervi qualche dettaglio… buona visita del Cactus.