La vitivinicoltura nel Lazio ha radici molto antiche, risalenti addirittura agli Etruschi, che erano noti per aver coltivato viti in quella che oggi è la provincia di Viterbo. Durante l’epoca romana, tuttavia, Roma divenne la capitale imperiale e la coltivazione della vite fu ulteriormente sviluppata e diffusa in tutta la regione.
La vite e l’ulivo trovarono il loro ambiente ideale nel terreno vulcanico dei Castelli Romani, dove la loro coltivazione è citata nelle opere dei poeti Tibullo, Orazio e Catullo e in scritti più scientifici dell’epoca, come la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio.
In tutti i casi, però, i vini prodotti non erano particolarmente raffinati, in quanto erano il risultato di forme rudimentali di vinificazione. Fu solo nel Medioevo, intorno al XII secolo, che il Lazio sviluppò una vitivinicoltura di qualità. Nel 1406, con Papa Gregorio XII sul trono, i metodi di produzione del vino furono definiti con gli ‘Statuti dell’agricoltura‘, tuttavia, durante il XIII e il XIX secolo, la cultura del vino non fu considerata importante dai dieci papi regnanti e le cose cambiarono solo con l’arrivo dei piemontesi.
Verso la fine del 1800 i vini più noti prodotti nel Lazio erano il Castelli Romani, il Frascati, il Marino e l’Est! Est!! Est!!!, tutti prodotti con i frutti di vitigni autoctoni.
Favorita anche dalle condizioni climatiche e ambientali favorevoli, la produzione vinicola si diffuse in tutta la regione a livello di produzione familiare per uso personale, espandendosi anche in aree non particolarmente vocate alla coltivazione della vite.
L’evoluzione della viticoltura nella regione è stata piuttosto lenta, segnando una transizione graduale da metodi di coltivazione volti a enfatizzare la quantità, a un approccio più moderno che promuove la qualità. Mentre la modernizzazione è stata portata avanti dalle cooperative di produttori, che hanno costruito strutture di vinificazione di dimensioni industriali, l’innovazione nella vinificazione è stata lenta a seguire.
Le uve bianche sono le più coltivate nella regione, dove oltre al Trebbiano troviamo Malvasia Bianca di Candia, Malvasia del Lazio, Bellone, Bombino, Cacchione, Grechetto e Moscato di Terracina. Tra le uve rosse coltivate nella regione ricordiamo il Cesanese, il Ciliegiolo, il Nero Buono, il Sangiovese e il Montepulciano.
È degno di nota che fino alla prima metà del XX secolo la viticoltura locale era caratterizzata principalmente dalla coltivazione di vitigni autoctoni, ma a partire dagli anni ’50 e ’60 sono state introdotte molte varietà importate che garantivano una resa maggiore, sebbene non fossero tipiche della zona. Questo fatto ha messo a rischio l’esistenza stessa del patrimonio viticolo originale regionale, con la sua caratteristica biodiversità.
Le ricerche e le sperimentazioni condotte su alcuni di questi vitigni autoctoni minori, come la Rosciola (coltivata soprattutto nell’alta valle del fiume Aniene), il Capolongo, il Lecinaro, il Maturano e il Pampanaro, (coltivati nelle valli del Liri e di Comino), nonché l’Uva Vipera (coltivata nella zona nota come Basso Pontino) hanno portato alla luce caratteristiche davvero interessanti. Il loro utilizzo in vinificazione promette di contribuire ad esaltare ulteriormente le caratteristiche tipiche dei vini laziali, sottolineando il forte legame con il terroir, nonché con la storia e le tradizioni locali.
Il Lazio è la terza regione produttrice di vini DOC, dopo Piemonte e Toscana, per un totale di 26 denominazioni DOC e IGT con una produzione di vini bianchi pari all’80%.
Vitigno | DOC | DOCG |
Aleatico |
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Bellone |
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Cesanese |
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Malvasia |
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Montepulciano |
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Nero Buono |
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Sangiovese |
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Trebbiano |
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IGT | |
Vino | Vitigno |
Civitella D’Agliano |
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Colli Cimini |
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Frusinate |
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Lazio |
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Bianchi
Bellone (Grande e bello)
L’uva Bellone è diffusa nelle campagne attorno a Roma. Soprannominata da Plinio uva fantastica, in alcune zone è conosciuta come uva pane poiché, perché i contadini erano soliti mangiare i suoi grandi e succosi acini con il pane.
Si tratta di un vitigno vigoroso e robusto, con grande resistenza alle avversità atmosferiche e alle malattie, che inoltre produce frutti abbondanti, anche se non in modo costante anno dopo anno. Quando viene pigiato, produce un succo abbastanza abbondante. È considerato un vitigno molto interessante per la vitivinicoltura autoctona di qualità per le sue caratteristiche distintive. L’elevata produttività lo rende un vitigno ideale per la coltivazione in terreni freschi e fertili, soprattutto quando si effettuano ampie potature della chioma, per sfruttare al meglio le caratteristiche tipiche.
Malvasia del Lazio
La Malvasia del Lazio, o Malvasia Puntinata, è un vitigno davvero antico. Diffuso nella zona dei Castelli Romani, in passato la coltivazione è stata progressivamente abbandonata, a causa della scarsa produzione, anche se le caratteristiche tipiche della varietà sono piuttosto spiccate.
Questo vitigno produce vini dal colore giallo dorato intenso e, se utilizzato in uvaggio, conferisce un sapore piacevolmente rotondo ai vini, ammorbidendo, o eliminando del tutto, eventuali asprezze tipiche di altre uve.
Malvasia Bianca di Candia
Originario della Grecia come tutte le altre varietà di Malvasia, questo specifico clone è diffuso in tutta l’Italia centro-meridionale.
Produce un vino giallo paglierino, leggermente profumato, sapido e leggermente amarognolo. Viene spesso utilizzato in blend, poiché i vini varietali sono armoniosi e caratteristici solo quando prodotti nelle zone di coltivazione classiche.
Moscato di Terracina
Questa varietà di Moscato era chiamata Uva Apiana (uva delle api) dai Romani, perché il forte profumo e l’alto contenuto di zucchero dei grappoli attraggono le api molto più di altre varietà di uva. Come suggerisce il nome, questa varietà di uva è coltivata intorno a Terracina, dove è stata coltivata fin dal XVII secolo. La coltivazione di questo vitigno si è espansa man mano che sono state scoperte le sue caratteristiche buone qualità.
Il vino è di colore giallo dorato, con profumo persistente e aromatico. Dolce e vellutato al palato, ha buona struttura e finale medio-lungo.
Trebbiano Giallo
Questo antico vitigno romano, menzionato da Plinio nella sua ‘Naturalis Historia‘ e conosciuto anche con diversi nomi locali, come Greco (nei comuni di Velletri, Cori e Zagarolo), Trebbiano dei Castelli (nella zona attorno a Nettuno), nonché Greco Giallo e Rossetto (piccolo rosso) in altre zone. È coltivato principalmente nella zona dei Castelli Romani. Questa varietà di vino è leggermente agrodolce.
Rossi
Cesanese
La parola Cesanese significa ‘da Cesano‘, che è una città vicino a Roma. Tra i vitigni rossi autoctoni il Cesanese è quello che più si identifica con la regione Lazio. Tra i diversi cloni, quello di Piglio è il più noto e, a ragione, è considerato il migliore.
Il vino Cesanese ha tradizioni antichissime, come testimoniano i numerosi reperti archeologici rinvenuti nella zona. In epoca romana, l’imperatore Nerva apprezzava così tanto il vino del paese di Piglio che fece costruire nella zona una residenza imperiale, i cui resti sono ancora visibili. Nel Medioevo, documenti storici lasciano intendere che fosse il vino preferito di Federico II, che lo beveva durante le sue battute di caccia. Altri documenti riportano che fosse il vino preferito di due Papi di Anagni, un altro paese vicino a Roma, Innocenzo III e Bonifacio VII.
La produzione della vite è abbondante e mediamente costante. Matura con difficoltà ad altitudini elevate e in zone scarsamente esposte. Il vino ha un sapore caratteristico, gradevole e discretamente tannico. È incluso in molte denominazioni DOC del Lazio.
Cesanese d’Affile
Si tratta di un clone della zona vinicola di Affile ed è la base di tre vini DOC: il Cesanese del Piglio, il Cesanese di Affile e il Cesanese di Olevano Romano.
Nero Buono di Cori
Vitigno rosso autoctono di Cori, recuperato e riproposto grazie a ricerche e sperimentazioni che ne hanno evidenziato le elevate caratteristiche qualitative. Produce un vino rosso rubino intenso, dal profumo caratteristico e dal sapore alcolico.
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